Comi: dieci mesi di panettone all’anno

Emanuele e Giancarlo Comi

Emanuele e Giancarlo Comi

Oggi è sempre più raro che un figlio percorra con passione e con successo la stessa strada del padre. Per questo è esemplare il caso dei Comi, Giancarlo il padre, Emanuele il figlio, maestri pasticceri  dell’AMPI, con pasticceria in Missaglia, provincia di Lecco. E, naturalmente, autori di ottimi panettoni. «Il merito è tutto di Achille Zoia e Iginio Massari» si schermisce Giancarlo. «Senza i loro insegnamenti e il loro sostegno non saremmo qui». «Di corsi con Achille ne ho fatti sei» rincara la dose Emanuele.

In queste parole c’è un sincero riconoscimento per i meriti dei due grandi capofila della pasta lievitata, ma anche, sicuramente, tanta modestia. La storia della pasticceria Comi, infatti, non comincia ieri, ma nel 1958. L’anno scorso ha festaggiato i cinquant’anni. «Prima era un’osteria, tenuta dai miei genitori. Si chiamava Trattoria della Pace» rievoca Giancarlo. «Il mio primo maestro è stato Giulio Mapelli, della Biella Panettoni di Osnago. Sono andato a studiare anche con Giuseppe Ciocca a Milano, in via Vigevano, e poi alla CAPAC di via Molino delle Armi. Con il panettone, in negozio, sono partito nel 1961». Questa dedizione allo studio chiarisce perfettamente il punto di vista di Comi padre, ereditato dal figlio: solo un’approfondita conoscenza permette di giungere al massimo risultato.

Poi, però, occorre fare tanta pratica; e Emanuele, con il lievito madre, ci giocava da bambino. Aveva anche il compito di sgranare l’uvetta, cioè scartare i sassolini, mansione oggi svolta dallo scanner. «Ho imparato poco a poco da mio padre. Dopo, sono venute le prime vere responsabilità. Prima solo il lievito. Poi l’impasto serale. Quindi, anche quello mattutino. E adesso la lavorazione del panettone spetta tutta a me. Mio padre pirla e basta» scherza maliziosamente Emanuele, alludendo all’operazione di arrotondamento del pezzo d’impasto, la pirlatura, che precede la sua immissione nel pirottino. «Comunque, lui è sempre qui intorno. E nei momenti critici me lo trovo a fianco».

«I figli bisogna consigliarli, ma poi lasciarli essere» sostiene Giancarlo, mentre Emanuele si è allontanato. «Come dice il mio padre spirituale, devono fare le loro scelte e i loro errori, altrimenti non imparano a crescere». In gamba il suo padre spirituale. Che abbia fatto centro si vede dai risultati. «Solo per Natale, cioè dal 20 novembre al 23 dicembre» mi racconta Emanuele «facciamo 100 quintali di panettone, di cui il 50% di tradizionale alto, un 30% di veneziana e il resto al cioccolato, al pistacchio e pan strià, un pan dolce brianzolo, tradizionalmente arricchito con fichi secchi, al quale nella nostra ricetta aggiungiamo anche noci, uvetta e albicocche candite».

Il Pan strià è una bontà. Come anche il loro panettone tradizionale, fragrantissimo, aromi di burro e frutta candita: 60% di uvetta australiana («quest’anno sarà 5 corone: con gli incendi che ci sono stati, di 6 corone non ce n’è» aggiunge Emanuele), 30% di cedro candito e 10% di arancia candita, una parte dei quali in pasta, «perché non a tutti piacciono canditi e uvette».

I Comi non usano conservanti artificiali, e non ne avrebbero neanche bisogno, perché da loro il panettone sparisce molto in fretta dalle vetrine. E non solo a Natale, ma tutto l’anno. «Negli altri mesi produciamo circa 120 chili di panettone, gennaio e maggio esclusi, perché vengono subito dopo le grandi abbuffate di Natale e di Pasqua. A proposito della quale, produciamo 26 quintali di colomba».

Proporre panettone tutto l’anno non è da tutti. «Tutto è nato dai corsi di pasta lievitata tenuti da Achille Zoia» afferma Emanuele. «Subito dopo averli frequentati, per fare le brioche, ho cominciato a usare solo lievito madre. Avendolo sotto mano tutti i giorni, è stato naturale pensare al panettone. Il mio sogno sarebbe, come ho raccontato a un giornalista, quello di contribuire a “sdoganare” questo dolce tutto l’anno, così come si è fatto con la cioccolata, che un tempo si mangiava solo a Pasqua, con l’uovo. Per la colazione e la merenda, il panettone è perfetto».

Legati al tradizionale, ma anche sperimentatori. «Venticinque anni fa collaborammo per un periodo con Gualtiero Marchesi» ricorda Giancarlo. «Ci suggerì di inventare una ricetta con lo zafferano, ingrediente che più milanese non si può, come milanese è il panettone. Lo producemmo per un paio d’anni, ma senza grande successo». «Al milanese» è la convinzione di Emanuele «lo zafferano piace soltanto se inserito nel suo contesto tradizionale, il risotto. Invece, di recente abbiamo proposto con successo ai nostri clienti un’altra variante al tradizionale, che abbiamo chiamato panfrutto brianzolo: arricchiamo la pasta lievitata con fiori di sambuco e albicocche candite».

Aggirandomi per il laboratorio vedo un team multinazionale. Tutti sono impegnatissimi. «Lei» mi dice Giancarlo «è del Burkina Faso». La ragazza color ebano – occhi attentissimi e allegri – riempie di crema pasticciera una sfilata di cannoncini. Me ne offre uno: sono squisiti. «Li ha fatti lui, che viene dall’Est» aggiunge Giancarlo, alludendo a un personaggio appena uscito da un romanzo di Tolstoj. «Era un capitano dell’Armata Rossa». Non resisto, e mi faccio raccontare la storia di questo quarantacinquenne dai lineamenti fini, barba, occhi cerulei, coda di cavallo. Il 1989 lo colse nei pressi di Berlino. Gorby, che – guarda caso – è presente anche in una foto alla parete della pasticceria, in cui stringe la mano a Comi senior,  fece tornare in URSS l’Armata Sovietica. Quando al nostro capitano diedero ordine di spostarsi in Cecenia, prese una decisione drastica: abbandonare l’esercito e lasciare il suo paese. Arrivò rocambolescamente in Italia con sua moglie e suo figlio, a Como, dove aveva amici. Trovò così lavoro da Comi che, nonostante le sue esperienze fossero tutt’altre, lo prese con lui. Comunque, dai Comi deve trovarsi proprio bene, perché nel frattempo al suo primo figlio se ne sono aggiunti altri quattro. Ergo, la bontà in questa pasticceria è di casa. In tutti i sensi.

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Una Risposta to “Comi: dieci mesi di panettone all’anno”

  1. luigi marangio Says:

    Faccio da quarant’anni questo lavoro, con passione, e mi rendo conto che avrei dovuto impegnrmi di più nella ricerca. Approfondire di più tutti gli aspetti delle fasi di lavorazione e qualità. Ciò detto, fate venire la voglia e l’entusiasmo di continuare su questa strada. Grazie.

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